Specchi angolari

Sappiamo tutti benis­simo che i catarifrangenti fissati alle ruote della bicicletta non posseggono una sorgente di luce. Tuttavia, un conducente d’auto, incontrando un ciclista, vede i catarifrangenti molto bene nel momento in cui questi cadono sotto la luce dei fari della sua macchina. Avete mai pensato che dei passanti potrebbero non vedere affatto il riflesso dei catarifrangenti? Vedremo come le proprietà dei catarifrangenti sono basate su semplici fatti geometrici.

Come è noto dall’ottica geometrica, la rifles­sione di un raggio sulla superficie di uno specchio avviene secondo la legge che “l’angolo di rifles­sione è uguale all’angolo di incidenza”.

Consideriamo il caso planare di due specchi che formano un angolo di 90°. Il raggio, che si propaga nel piano e incontra uno degli specchi, dopo la rifles­sione su di esso e sull’altro specchio, esce esattamente nella stessa direzione in cui era arrivato. Verificatelo voi stessi, sia calcolando gli angoli, sia analizzando la rifles­sione del raggio–vettore.

Per ottenere un effetto simile nel nostro mondo tridimensionale, bisogna prendere tre specchi piani mutualmente ortogonali. Tagliamo via un vertice di un cubo, in modo che la punta ottenuta abbia un triangolo equilatero come bordo.

Qualsiasi raggio che finisce su questo sistema di specchi, dopo la rifles­sione sui tre piani esce parallelo al raggio incidente ma in direzione opposta. Verificatelo!

È proprio questa semplice costruzione geometrica con le sue proprietà che viene chiamata riflettore angolare. Per le applicazioni tecniche viene costruita una batteria di queste punte, per aumentare la superficie riflettente. Considerazioni matematiche delle più semplici aiutano in questa fase: il piano può essere riempito in modo regolare di triangoli equilateri tutti uguali, e quindi anche i riflettori angolari è conveniente sistemarli proprio in questo modo.

È così che sono infatti costruiti i catarifrangenti delle biciclette e delle automobili. Ma queste considerazioni geometriche vengono utilizzate anche in costruzioni molto più tecnologiche.

Quando iniziavano a costruire il Lunokhod, nessuno conosceva la superficie del satellite terrestre. Se era dura, o se invece c’era molta polvere, e la macchina che atterrava doveva nuotare in essa. Si susseguirono lunghi dibattiti, dei quali resta una relazione di Sergej Pavlovich Korolev (1907–1966): “Conviene contare su un terreno abbastanza duro come quello della pomice [...] Korolev”. Questo è un esempio di come i grandi scienziati non ebbero paura di affrontare le questioni più difficili assumendosene tutta la responsabilità.

Il 17 novembre 1970 sbarcò sulla luna, precisamente nel ‘Mare della Pioggia’, una stazione spaziale che venne chiamata nel comunicato stampa dell’agenzia sovietica TASS “Luna–17”. Sulla superficie della luna scese una macchina, che ha lasciato sul satellite della terra la prima traccia di ruote: il cosiddetto “Lunokhod–1”. Questo era telecomandato da terra, da dei piloti che potevano vedere da una telecamera una piccola area della superficie della luna davanti alla macchina. Progettato per funzionare tre mesi terrestri, la macchina ha lavorato tre volte tanto – più di 11 giorni lunari. L’ultimo collegamento col primo Lunokhod avvenne il 14 settembre 1971. Durante questo periodo, “Lunokhod–1” ha percorso una distanza di 10 km e 540 m, facendo un anello e tornando infine al punto di partenza.

Sorprendentemente, sul Lunokhod erano fissati dei catarifrangenti! Prima di tutto, essi davano la possibilità di verificare da qualsiasi paese la presenza della macchina sovietica sulla luna. Ma la cosa più importante è che questa semplicis­sima considerazione geometrica ha permesso alla scienza di misurare la distanza terra–luna. Gli scienziati di tutto il mondo hanno usato i riflettori angolari del Lunokhod–1, persino nel XXI secolo.

Ecco come delle semplicis­sime considerazioni geometriche ci aiutano, a partire da questioni di sicurezza personale per arrivare alla conoscenza dell’Universo.