Poliedri flessibili

Se vi è capitato di costruire uno scaffale, allora vi ricorderete bene che, finché non avete fissato la parete posteriore, lo scaffale si flette. Non appena avete aggiunto la parete posteriore, lo scaffale, che è diventato un poliedro non chiuso, diventa rigido. Se poi aggiungete anche la parete anteriore o qualche altro pezzo, che chiude il poliedro, lo scaffale non perde, ovviamente, la sua proprietà di rigidità.

Ma esistono poliedri chiusi deformabili?

La risposta a questo quesito non fu trovata per molto tempo. Come avviene di solito nella scienza, per studiare un problema conviene considerare un caso più semplice. Nel caso del problema dei poliedri deformabili, si tratta di guardare il problema non nello spazio ma nel piano, dove l’analogo di un poliedro è un poligono.

Esistono poligoni fles­sibili? Ossia, poligoni con lati di lunghezza fissata , ma con angoli non fissi, sicché, cambiando gli angoli, i poligoni possano cambiare forma? Un modello di questo tipo lo può costruire chiunque con dei lati di fil di ferro uniti tra loro nella maniera standard.

Se costruiamo un poligono con quattro o più lati, allora sicuramente si fletterà. Di conseguenza, l’analogo della formula di Erone, che calcola l’area del triangolo a partire soltanto dalle lunghezze dei lati, non può esistere per un numero di lati superiore a tre.

Torniamo nello spazio. Ma che cos’è un poliedro deformabile, ammesso che esista? In analogia col problema nel piano, i suoi lati (aventi dimensione inferiore di uno rispetto alla dimensione dello spazio) devono essere delle facce poligonali rigide. Gli angoli bidimensionali, chiamati diedri, che uniscono due facce, dovranno avere la possibilità di cambiare, e sono realizzati come le cerniere di un pianoforte a coda.

Osserviamo i poliedri regolari. Se ne costruiamo dei modelli con delle cerniere da pianoforte lungo tutti gli spigoli, possiamo vedere che non si fletteranno. In effetti questa è una proprietà di tutti i poliedri convessi. Un teorema, dimostrato da Auguste Louis Cauchy (1789-1857) nel 1813 dice che il poliedro convesso definito da un insieme di facce con le condizioni di incollamento è unico. Ossia, un poliedro convesso fles­sibile non esiste.

I primi esempi matematici di poliedri deformabili riguardano, ovviamente, poliedri non convessi. Ne fu data persino la clas­sificazione dall’ingegnere belga P. Brikar nel 1897. Abbiamo detto esempi matematici, perché questi poliedri sono non solo non convessi, ma anche auto-intersecanti. Le loro facce s’intersecano l’una con l’altra. Dal punto di vista matematico, essi sono poliedri, tuttavia la loro realizzazione nel nostro spazio tridimensionale è impos­sibile. Nel 1975 il matematico americano P. Connelly trovò il modo di fare a meno delle auto-intersezioni, e apparvero i “veri” poliedri deformabili. Il più semplice di essi, noto ai giorni nostri, è costituito di 9 vertici, 17 spigoli e 14 facce: lo costruiremo ora. Fu inventato nel 1978 dal matematico tedesco Klaus Steffen.

Lo sviluppo del poliedro di Steffen consiste di due parti identiche e di un “tetto”. Anche ricordando la forma dello sviluppo, ma non sapendo la lunghezza degli spigoli, costruire tale poliedro è estremamente difficile: la possibilità di deformarsi è una eccezione per i poliedri, e in effetti assai pochi la posseggono.

Quando i matematici capirono che esistono poliedri deformabili, sorse un quesito, che prese il nome di “congettura dei mantici”. In che modo i mantici si gonfiano? In che modo funziona la fisarmonica? Il loro principio di funzionamento è il cambiamento del volume interno. E cosa succede ai poliedri deformabili? Cambierà il loro volume per la deformazione? Si potranno costruire dei mantici o delle fisarmoniche, usando non della pelle, ma del materiale rigido, nelle forme di poliedri?

Alla fine del XX secolo una risposta completa a questo quesito fu trovata dal matematico russo I. H. Sabitov. Avviene che, per i volumi dei poliedri, compresi quelli deformabili, sussiste l’analogo della formula di Erone per l’area del triangolo. Precisamente, esiste un polinomio in una variabile, tale che i suoi coefficienti dipendono solo dalle lunghezze degli spigoli del poliedro, mentre il volume è una radice di questo polinomio. Ma le diverse radici reali di un polinomio di una variabile sono numeri concreti, disposti tra loro a determinate distanze. Per piccole deformazioni del poliedro, il volume dovrebbe cambiare di poco, e non può saltare da una radice all’altra. Ciò significa che il volume dei poliedri deformabili non cambia con le loro deformazioni!

Abbiamo considerato la questione dei poliedri deformabili nel piano (i poligoni) e nel nostro spazio tridimensionale. Ma cosa succede in dimensioni più elevate? Anche là esistono poliedri deformabili, sebbene in numero molto minore. Ma il problema sul cambiamento o meno del volume dei poliedri deformabili di dimensione superiore a tre finora non è stato risolto e attende il suo risolutore.